Ciak Teramo

Open air Museum: i Murales di Guido Montauti a Pietracamela

Il nostro Borgo sorge alle falde settentrionali del massiccio del Gran Sasso d'Italia, al riparo dei roccioni calcarei che delimitano in basso la località di Prati di Tivo. Il suo territorio comunale rientra nell'ambito di competenza della Comunità montana del Gran Sasso ed  è l'unico comune della provincia teramana interamente compreso nell'area del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ”.

Sopra il paese, tra le rocce e le casette ricostruite dopo il terremoto del 2009, si trova un sorprendente museo all’aperto costituito dalle pitture rupestri di Guido Montauti, artista: originario proprio di Pietracamela, si è mostrato per tutta la sua vita così legato al paesaggio natale da farne la materia stessa delle sue opere.

Le Pitture rupestri de "Il Pastore bianco" sono opere monumentali eseguite nel 1963 sulle rocce delle Grotte di Segaturo, nei pressi dell'abitato di Pietracamela, da un gruppo di artisti, formato da quattro pittori e un pastore, di cui Guido Montauti è stato  fondatore.

Il loro scopo era quello di riportare la figura dell'uomo e la matericità dei pigmenti naturali, fatti di colori terrosi, al centro di una pittura inserita nel paesaggio naturale, in contrapposizione alla Pop art! Questa infatti, con le sue tinte vivide, le sue immagini stereotipate e infinitamente replicabili, caratteristiche tipiche del linguaggio pubblicitario a cui si ispirava, aveva portato alla dematerializzazione delle arti figurative.

 

Guido Montauti

L’artista Guido Montauti nasce il 25 giugno 1918 proprio nel piccolo borgo di Pietracamela, dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza. Inizia a dipingere nella prima metà degli anni Trenta come autodidatta, traendo ispirazione dall’ incontaminato paesaggio montano che lo circonda.

Allo scoppiare della II Guerra Mondiale è costretto a lasciare il paese natale, muovendosi tra Grecia, Albania, Macedonia, Austria, Germania e infine in Francia. I cruenti anni bellici non frenano l’estro creativo del giovane artista abruzzese, che continua a dipingere alacremente, servendosi di cartoncini e tavolette di compensato, e creando olii di piccolo formato e numerosi acquerelli. Nel 1946 è a Milano, dove conosce Carlo Carrà; espone alla XXV Biennale  di Venezia nel 1950 e dal 1952 soggiorna a Parigi, dove entra in contatto con Dubuffet, Matta e Pignon ed espone in diverse gallerie. Nel 1961 il critico Daudet dedica una monografia ai disegni di Montauti, per i quali l’artista riceve il plauso di Giorgio Morandi, e nel 1962 il pittore tiene una personale alla Galerie Espace di Parigi.

Rientrato a Teramo negli anni Sessanta, Montauti affrontò una nuova sfida creativa, in linea  con le esperienze più innovative dell’arte del secolo scorso: quella dell’arte collettiva. Nel 1963 fondò infatti  il gruppo de “Il Pastore Bianco”, insieme ai pittori Alberto Chiarini, Piero Marcattili, Diego Esposito e il pastore Bruno Bartolomei. Questo fu un movimento  in cui gli artisti  rinunciavano all’autonomia della firma per dedicarsi a una pittura collettiva. Con il gruppo, infatti, Montauti realizzò le monumentali pitture rupestri nelle Grotte di Segaturo, nei pressi di Pietracamela, e decine di tele di grande formato che nel 1964 vennero esposte alla Galleria d’Arte del Palazzo delle Esposizioni di Roma.  Morì nel 1979

Le pitture rupestri delle Grotte di Segaturo sono opere di grande valore artistico e antropologico, che il celebre pittore ha lasciato al suo paese natio regalandogli un vero e proprio museo a cielo aperto. Rappresentano monumentali figure umane stilizzate, pastori e uomini e donne del borgo, ritratte come figure geometriche essenziali e arcaiche, immutabili come la roccia su cui sono dipinte usando colori naturali: tutto questo sta a significare il legame profondo di Montauti con le montagne natali e l’emozione che suscita in lui il paesaggio di Pietracamela, di cui è figlio, quasi fatto anche lui della stessa materia.

 

La leggenda narra….

"Gli uomini, è noto, sono fatti prevalentemente d’acqua ma gli abruzzesi sono fatti anche di pietra. Lo hanno voluto gli Dei. La giovane e perseguitata Maja, natura divina e regina d’India, arrivò da acque lontane per approdare su queste terre, dopo una notte carica di prodigi, trasformò se stessa e il figlio, morto per gli stenti del viaggio, in due maestose montagne: la Maiella e il Gran Sasso. 

Come la leggenda, che vuole queste rocce essere la personificazione di divinità, così nella pittura di Montauti la pietra è la protagonista, accesa dal magma cromatico del pittore.

 

il Pastore Bianco

Il Manifesto del Gruppo, pubblicato nel 1966 dal “Corriere della Sera”,  affermava:

“Come il Rinascimento, con spirito affine all’arte classica, si diversifica da essa, così il Pastore Bianco, ritornando alle origini, sa differenziarsi dall’arte dei primitivi. 

L’uomo e le cose, intese, perciò, strettamente e fisicamente nel loro concetto di uomo e cose, vengono a fare la loro apparizione come masse compatte di colore omogeneo, delimitate come il ricordo dell’uomo e delle cose suggerisce”. 

Nel 1966 “Il Pastore bianco” espose a Teramo, Pescara e L’Aquila e l’anno dopo firmò la dichiarazione “I giovani artisti di tutti i paesi del mondo hanno raccolto il messaggio del Pastore Bianco”. Dall’anno scolastico 1969-70 Montauti fu docente di Figura Disegnata presso il Liceo Artistico di Teramo, che poi prenderà il suo nome, proseguendo attraverso l’insegnamento la sua tensione verso una nuova cultura figurativa.

Anche se la maggior parte delle “pitture rupestri” è stata distrutta dal crollo del contrafforte del Grottone, dove l’artista amava rifugiarsi,  ne sono sopravvissute tre molto significative, restaurate e rese accessibili al pubblico  per il Centenario della nascita dell’artista  dal Comune di Pietracamela, nel 2018. 

Nelle pitture rupestri di Pietracamela le figure sono modulate dal fondo roccioso stesso su cui sono dipinte, delineate da forme geometriche essenziali campite da pochi colori ben netti. L’accostamento di queste sagome arcaiche, primordiali abitanti del borgo, dà l’indescrivibile sensazione di trovarsi di fronte a presenze vive. Per la loro impressionante efficacia, le “Pitture rupestri” sono state associate alle forme di arte “in situ” e di “Land Art” che “Il Pastore bianco” avrebbe anticipato, alla ricerca di una nuova figurazione, sintesi di arcaicità e modernità.   

Tra le “Pitture rupestri” sopravvissute al crollo del “Grottone”, in un’area più appartata, si possono vedere tuttora una diecina di  figure quasi rintanate in un anfratto naturale; nella più spettacolare di queste cavità sono visibili in adunata una ventina di forme umane bianche e celesti, nere e rosse, e un cavallo con cavaliere. Sono invece andate perdute le altre, per alcune delle quali l’impatto era accresciuto dalla posizione acrobatica su rocce sospese o da altre peculiarità visive. Forme primitive, presenze primordiali e vive, inserite in un contesto che resta grandioso, benché si sia perso purtroppo a causa del crollo l’effetto derivante dalla disseminazione delle figure nello spazio.

Le pitture rupestri, sopravvissute alle intemperie per circa mezzo secolo, sono state recentemente travolte da una frana generata dal crollo della grossa parete di roccia sovrastante, che purtroppo ha trasfigurato l'ambiente in cui erano armoniosamente inserite, resta tuttavia la loro vivida presenza nel paesaggio, anche se molte delle figure sono andate perse nel crollo. 

Alle tre “Pitture rupestri” superstiti della “Grotta di Segaturo”, datate 1964 - incancellabile testimonianza sulla pietra di una stagione segnata dall’arte nel paesaggio – si è aggiunta, più in basso, in una roccia al lato del sentiero che porta al vecchio mulino, la nuova “Pittura rupestre” di Jorg Grunert, che ha vinto nel 2014 il “Premio Internazionale Pittura rupestre Guido Montauti” .


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