Nell’area oggi occupata dalla Villa Comunale sorgeva, nel 1841, l’orto botanico per volontà di Ignazio Rozzi, medico e naturalista, animatore della “ Società Economica” di Teramo che ebbe sede in una palazzina all’interno dell’Orto, trasformata nel 1923 in sede della Pinacoteca Civica. Dopo la morte di Rozzi, l’orto botanico divenne Villa Comunale nel 1884 su disegno dell’ingegnere Ernesto Narcisi, successivamente fu realizzata una elegante recinzione con cancello Liberty. Al 1939 risale l’attuale ingresso con il nuovo cancello, inaugurati insieme alla “leonessa” di Venanzo Crocetti, che oggi si trova nella pinacoteca.
La Pinacoteca Civica, nella vicenda culturale cittadina, scandisce le tappe del recupero della memoria storica attraverso il suo percorso di musealizzazione iniziato nel 1868, quando si concretizzò l’idea di raccogliere dipinti provenienti dal territorio teramano, per volontà dell’allora sindaco Settimio Costantini. Alle opere pittoriche si aggiungeranno di lì a poco le sculture dell’artista ottocentesco Raffaello Pagliaccetti, affidate in custodia alla Pinacoteca, dal proprietario Pasquale Ventilj.
Rinnovata più volte nei suoi spazi espositivi la Pinacoteca vuole catturare l’attenzione del visitatore grazie a uno storytelling affidato ad alcuni esponenti del mondo della cultura italiana che, per mezzo di qr-code posti accanto a una selezione di opere, arricchiscono la lettura stilistica con le loro personali esperienze e con il richiamo al contesto che ha dato vita alle opere stesse.
La Pinacoteca civica oggi raccoglie dipinti su tela e tavola e sculture che vanno dal quindicesimo secolo al Novecento: pale medievali, tele di scuola napoletana del Seicento e Settecento e opere di artisti abruzzesi dell’Ottocento e Novecento.
Prima sala
Madonna del Latte, di Giacomo da Campli
La prima sala raccoglie le voci del Quattrocento e del Cinquecento: l’affresco della Madonna del Latte, di Giacomo da Campli, proviene dalla Chiesa di Sant’Agostino da dove venne staccato; questo tipo di soggetto, con la Madonna seduta con un seno scoperto nell’atto di nutrire il bambino seduto sulle sue gambe, è molto diffuso in Italia dopo la grande epidemia di peste del 1348 ed è particolarmente caro all’ordine dei frati agostiniani, che volevano in questo modo esortare le donne ad allattare direttamente i figli invece che affidarli alle balie, in modo da ridurre il rischio di mortalità infantile per malnutrizione.
Madonna del melograno di Giacomo da Campli
Dello stesso artista è il polittico della Madonna del melograno, formato da più tavole in legno dipinte e unite insieme che conserva la sua struttura originale, con la doratura a foglia d’oro su una preparazione di gesso e bolo d’Armenia rosso. Da notare il rametto di corallo al collo del bambino Gesù e il melograno che stringe in una mano, entrambi richiami al destino di sacrificio di Cristo, al rosso del Suo sangue versato per la salvezza dell’umanità, e notate la ricchezza della veste e delle aureole della Vergine Maria e dei Santi, realizzate con foglia d’oro e decorazioni incise con uno strumento a punta detto punzone.
Chiudono la sala le tavole del Maestro dei Polittici Crivelleschi, nome creato dallo storico dell’Arte Ferdinando Bologna per indicare un artista di cultura adriatica di formazione vicina a Carlo Crivelli.
Il polittico fu forse commissionato dai frati francescani, come proverebbe la presenza della figura di San Bonaventura da Bagnoregio, biografo del santo assisiate.
Seconda sala
La seconda sala è dedicata alla pittura barocca: il consolidamento dell’autorità del Regno di Napoli in Abruzzo si espresse anche attraverso una politica culturale che, fra il Seicento e il Settecento, promosse l’arrivo nel Teramano di alcune tele dei principali artisti della scuola partenopea, fra i quali Ribera, Preti, Giordano e Solimena.
Si tratta soprattutto di opere di piccolo formato, perché destinate al collezionismo privato; anche le nature morte conservate presso la Pinacoteca di Teramo sono espressione di un genere pittorico molto in voga fra gli artisti napoletani, mentre la tela di Psiche che contempla il dio Amore alla luce di una fioca lanterna, attribuita al misterioso artista noto come Candlelight Master, testimonia la diffusione della lezione stilistica di Caravaggio, con forti passaggi di chiaroscuro tra luce e ombra che disegnano le morbide forme dei corpi.
Tra le opere, è molto particolare quella attribuita ad Angelo Caroselli raffigurante la Papessa Giovanna: il soggetto si riferisce alla leggenda dell’unica donna che sarebbe salita sul trono pontificio, facendosi passare per un uomo; l’inganno della papessa sarebbe stato scoperto a seguito dell’aborto causatole da una caduta da cavallo. È così che nell’opera qui esposta vediamo la leggendaria figura indossare il camauro, un copricapo in velluto rosso foderato in inverno di pelliccia di ermellino, che veniva utilizzato in passato dai pontefici; la donna si guarda in uno specchio, come a controllare la buona riuscita del travestimento, e sullo sfondo una ricca parete allude alla corte papale in cui la scena è ambientata.
Terza sala
Nella terza sala sono raccolte le opere pittoriche e scultoree dell’Ottocento. Negli anni successivi all’Unità d’Italia, molti artisti abruzzesi - formatisi nelle Accademie di Firenze e soprattutto di Napoli - si dedicarono alla rappresentazione di temi legati alla cultura popolare e contadina del territorio, come Pasquale Celommi, artista originario di Roseto degli Abruzzi, famoso per le sue scene relative alla marineria, per l’attenzione alla luce e per il taglio fotografico delle immagini.
Quattro Stagioni dI Pasquale Celommi
Nelle tele delle Quattro Stagioni ritrae la campagna abruzzese popolata da contadini che affrontano con ottimismo e fiducia il lavoro nei campi nei diversi mesi dell’anno, con una sapienza di luci che passano dai toni freddi dell’inverno, alla freschezza del verde dei campi in primavera, per assumere tonalità abbacinanti d’estate – notate il massiccio del Gran Sasso che silenzioso sorveglia il passo sicuro della contadina sulla strada bianca – a quelle calde e morbide dell’autunno con una coppia di innamorati in primo piano di ritorno dalla vendemmia, una cesta di grappoli d’uva sulla testa e indosso i vestiti tradizionali.
Raffaello Pagliaccetti, scultore
La Pinacoteca conserva diversi modelli in gesso dello scultore Raffaello Pagliaccetti, artista di fama internazionale capace di coniugare lo stile del tardo Neoclassicismo con il Verismo, egli nacque a Giulianova, ma studiò e operò principalmente a Firenze, dove lavorò anche per la manifattura di porcellane fondata dalla famiglia Ginori. Commovente è la sua opera “Cieca orfanella”, realizzata in terracotta e poi dipinta a freddo a olio, secondo l’uso dei maestri del Rinascimento, ottenendo effetti di grande realismo.
Secondo piano
Al secondo piano, le sale sono dedicate al Novecento e mostrano la ricerca da parte degli artisti locali di un confronto con le esperienze più innovative dell’arte del secolo scorso: è il caso di Guido Montaùti, che a Milano conobbe Carlo Carrà, partecipò alla Biennale di Venezia del 1950 e soggiornò a Parigi entrando in contatto con Dubuffet. L’opera Paesaggio, degli anni ’60, appartiene al periodo in cui, rientrato in Abruzzo, fondò il gruppo artistico “Pastore Bianco”: per lui, originario del paesino montano di Pietracamela, la natura rappresentò sempre una fonte inesauribile di ispirazione e in questa tela, (realizzata con pochi colori terrosi, bianco e nero, e forme geometriche essenziali, )mostra l’ emozione suscitata in lui, dal paesaggio delle montagne natali.
Giovanni Melarangelo, nato a Teramo nel 1903, si formò prima da autodidatta e poi a Napoli come allievo di Vittorio Scarselli; intorno al 1921 diventò illustratore per il giornale locale “Il Piccolo Sasso” e in questo modo entrò in contatto col mondo dello spettacolo, che sviluppò come tema ricorrente nelle tele a partire dagli anni ’40: ballerine, clown, acrobati e saltimbanchi diventarono da questo momento simboli della contestazione, dell’emarginazione e della sofferenza umana, con un richiamo allo stile sintetico e ai soggetti già cari ad artisti quali Toulouse-Lautrec e Picasso del periodo blu e del periodo rosa.
La Pinacoteca Infine raccoglie un importante insieme di sculture di Venanzo Crocetti, artista di fama internazionale originario di Giulianova.
Formatosi prima da autodidatta e poi all’Accademia di Roma, partecipò nel 1938 alla XXI Biennale di Venezia con l’opera Leonessa, che ricorda l’influenza del suo maestro Arturo Martini e riesce a esprimere tutta l’energia del grande felino attraverso la tensione dei fasci muscolari, la lunga coda eretta, le zampe saldamente divaricate e le fauci spalancate in un ruggito che sembra quasi di poter sentire.
Sempre di Crocetti, troviamo poi gli studi grafici e i modelli preparatori per il Monumento ai Caduti di tutte le guerre. Realizzato per la città di Teramo nel 1972 e posto alla fine del Viale dei Tigli, è composto da quattro grandi statue tra cui il Caduto per mare, il Caduto per terra e il Caduto per cielo: attraverso la semplificazione delle forme e l’estremo allungamento delle figure, colte nel momento in cui sono state raggiunte dalla morte, Crocetti esprime una struggente drammaticità priva di ogni retorica; mentre il quarto personaggio, il Cavaliere della Pace, nel cui bozzetto esposto in Pinacoteca è presente solo il cavallo, rappresenta la speranza in un mondo finalmente senza guerre.